Addio al “doppio vincolo” paesaggistico sugli interventi selvicolturali
Approvato l'emendamento che toglie il doppio vincolo ai boschi che ricadono in aree di interesse...
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Il recente D.Lgs 34 del 2018 “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali” (di seguito TUFF) rappresenta il primo testo organico in materia forestale dopo il RDL 3267 del 1923. Il TUFF, ed i vari DM attuativi, pongono fra i propri obiettivi l’armonizzazione di quanto prodotto dalle singole normative regionali, sia in termini prettamente legislativi sia metodologici. L’oggetto di questo contributo è il tema dell’utilizzo di una base comune nazionale per la classificazione delle cenosi forestali, su base tipologica.
Dalla seconda metà del ‘900 in Europa si svilupparono diverse metodologie per classificare i boschi da un punto di vista ecologico-vegetazionale, con lo scopo di rendere l’approccio di agevole comprensione e applicazione, legando l’inquadramento vegetazionale con gli orientamenti gestionali. Nasceva così il concetto di Tipo forestale quale unità omogenea da un punto di vista floristico-vegetazionale e del popolamento forestale, con più o meno approfondite relazioni ecologico-stazionali e con un certo corredo di informazioni concernenti potenzialità e indirizzi gestionali; tali sistemi tipologici sono spesso articolati gerarchicamente. Anche in Italia dalla fine degli anni ‘80, presero corpo iniziative strutturate, con tentativi di proporre inquadramenti validi per territori omogenei o quantomeno per Regioni da un punto di vista amministrativo, tenuto conto della grande variabilità ecologico-stazionale che caratterizza il nostro territorio. A tal proposito si citano i diversi lavori che hanno portato alla redazione delle tipologie delle regioni Veneto (Del Favero e altri 1990, Del Favero e altri 1991), Piemonte (Mondino e IPLA 1990) Toscana (Mondino e Bernetti 1998), Friuli-Venezia-Giulia (Del Favero, 1998), Sicilia (La Mantia e IPLA, 2000), Provincia di Trento (Odasso, 2002), delle Marche (IPLA, 2002), ecc...
L’impostazione adottata a cura di IPLA per le regioni Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Marche e Sicilia, si caratterizza per i seguenti aspetti:
Il TUFF (art. 14 e 15) pone il tema del coordinamento delle diverse fonti e della loro armonizzazione. In tale ottica, nell’ambito dell’iniziativa relativa per la costituzione di un sistema informativo forestale nazionale e nel decreto attuativo del TUFF relativo alle linee guida per l’individuazione dei boschi vetusti, viene proposto come sintesi valida per l’intero territorio nazionale il lavoro svolto da Del Favero nella trilogia: I boschi delle Regioni Alpine Italiane, I boschi delle regioni dell’Italia centrale, I Boschi delle regioni meridionali e insulari d’Italia.
Pur sapendo che la differente impostazione metodologica fra sistemi di classificazione non sempre permette una corrispondenza univoca, ma al limite la massima verosimiglianza, ci pare doveroso sottolineare alcune criticità.
Un primo aspetto risiede proprio nella difficoltà di transcodifica tra sistemi di classificazione nati con impostazioni metodologiche dissimili. Se è generalmente possibile una armonizzazione a livello di Categorie fisionomiche (Faggete, Lariceti, Querceti di roverella, ecc…), quando si entra nel dettaglio tipologico diviene imprescindibile preservare le caratteristiche regionali in senso fito-geografico, riassunte nel concetto di “gruppo ecologico di specie”. Tale concetto è anche presente nella metodologia di Del Favero (Tipi forestali del Friuli-Venezia-Giulia e Veneto); tuttavia nel lavoro di sintesi del medesimo Autore che si vuole utilizzare per la carta forestale nazionale tale aspetto non è considerato. In natura esistono delle compensazioni tra fattori ecologici, che sono alla base della definizione dei “gruppi ecologici di specie” e che di conseguenza non rendono pienamente assimilabili una faggeta acidofila delle alpi orientali con quella delle Alpi Graie; in altre parole, le specie e le cenosi forestali a cui si attribuiscono i termini acidofilo, basifilo, mesalpico, endalpico, ecc non hanno il medesimo significato ecologico su tutto l’arco alpino. Tale aspetto determina sia l’impossibilità di applicare la classificazione tipologica del lavoro di sintesi de “I boschi delle Regioni Alpine Italiane” sia di realizzare una armonizzazione o assimilazione delle rispettive unità tipologiche, in quanto maturate a partire da condizioni ecologico-floristiche diverse.
In tal senso si inserisce la difficolta collocare nelle unità di Del Favero i tipi forestali (a prevalenza di conifere o latifoglie) caratteristici degli ambienti continentali con connotati più o meno steppici, che caratterizzano molte vallate dell’arco alpino occidentale rispetto alle Alpi orientali. Ci riferiamo in particolare alle pinete di pino silvestre endalpiche, al lariceto mesoxerofilo subalpino, ai querceti xero-acidofili o xero-basifili di roverella, alle peccete mesoxerofile, ecc…, che interessano oltre 120.000 ha fra Piemonte e Valle d’Aosta. Che esistano differenze ecologiche significative tra l’arco alpino occidentale e quello orientale è sottolineato da diversi Autori, fra cui Ozendà (1985 e 2002) in “La végétation de la chaîne alpine dans l’espace montagnard europeén” e “Perspectives pour une geobiologie des montagnes”. Più di recente manuali elaborati per la gestione dei boschi di protezione diretta a livello internazionale mettono chiaramente in evidenza le affinità dei versanti piemontesi-valdostani con quelli savoiardi (F) e vallesani (CH). Anche classificazioni prodotte per il livello continentale (EUNIS) individuano unità specifiche per l’ovest delle Alpi (Western Larix, mountain pine and Pinus cembra forests per i lariceti, Inner-Alpine Ononis steppe forests per le pinete endalpiche di pini silvestre, Western Quercus pubescens forests and related communities per i querceti endalpici di roverella, ecc.)
Similare è il caso dei querco-carpineti golenali presenti lungo le fasce dei corsi d’acqua con regime torrentizio (Stura di Lanzo, Pellice, Stura di Demonte, Sesia, ecc..) caratterizzati da un corredo floristico dei querco-carpineti ma con assenza, o quasi, di carpino bianco e una significativa presenza di specie tipiche dei torrenti montani (acero di monte, tigli e frassino maggiore) oppure i querceti di farnia con rovere delle alte pianure che annoverano la presenza di specie montane. Anche in quest’ultimo caso EUNIS individua l’unità specifica “Insubrian acidophilous Quercus forests”.
Un secondo elemento di criticità è l’assenza unità, quali: le pinete di pino uncinato, i robinieti, i boschi misti di specie pioniere come sorbi, maggiociondoli, nocciolo; questi ultimi per altro identificati per i boschi dell’Italia centrale e meridionale. In questa casistica rientrano anche i castagneti da frutto e i lariceti pascolivi, che rappresentano per altro importanti elementi del paesaggio agro-forestale tradizionale, con il rischio di essere assimilati a realtà gestionali che hanno obiettivi differenti.
Pur riconoscendo gli sforzi del lavoro fatto da Del Favero, vogliamo tuttavia sottolineare come un prodotto che vuole essere una sintesi non può semplicemente estendere modelli tipologici nati in un determinato contesto fito-geografico ad altri, occorre un lavoro di concertazione, analizzando e valorizzando le differenze presenti, se significative.
Tenuto conto che lo strumento tipologico sviluppato per il Piemonte e la Valle d’Aosta è stato costruito per avere un’utilità pratica in termini gestionali (cartografici e pianificatori), facendo riferimento a forme di governo e trattamenti realmente applicabili rispetto alle diverse possibilità che la selvicoltura offre, ne consegue che le differenze ecologico-vegetazionali hanno un riflesso su tali aspetti. Per esempio, assimilare le pinete di pino uncinato arboreo alle mughete non è possibile: le prime possono essere oggetto di gestione attiva, le seconde no; un lariceto pascolivo per essere mantenuto tale non può essere assimilato ad un lariceto montano o subalpino comunemente presente sulle Alpi; un querco-carpineto golenale ha dinamiche evolutive e potenzialità diverse da un querco-carpineto che si sviluppa su suoli fertili della media pianura, ecc…
Consapevoli che è fondamentale avere a disposizione supporti omogenei in termini di linguaggio per l’elaborazione di statistiche forestali a rilevanza nazionale e per dialogare a livello europeo, riteniamo tuttavia che queste non possono “appiattire” le differenze, soprattutto se queste riguardano, come nel caso di Piemonte e Valle d’Aosta complessivamente oltre 1 milione di ettari.
In tal senso, per la costruzione di una carta forestale a livello nazionale e per lo sviluppo del corrispondente sistema informativo forestale, proponiamo di adottare le metodologie già disponibili per il livello continentale, nate con lo scopo di sintesi e di normalizzazione (EUNIS https://eunis.eea.europa.eu/habitats-code-browser-revised.jsp e Tipi forestali UE https://www.eea.europa.eu/publications/technical_report_2006_9), mantenendo l’evidenza dei lavori svolti a livello regionale o per regioni biogeografiche, il cui dettaglio è fondamentale per la pianificazione e la gestione. Il lavoro di Del Favero può sicuramente essere utile per le regioni che non dispongono di tale livello, ed essere la base di partenza per eventuali approfondimenti che devono evidenziare le differenze, proprio nell’ottica di tradurre gli aspetti meramente vegetazionali in quelli gestionali.
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