Mother trees, alberi intelligenti e comunicanti, foreste “sociali”: analisi e rischi del dilagante antropomorfismo in alberi e foreste
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di Carlo Urbinati
Articolo tratto dalla omonima relazione presentata nella sessione “Nuove sfide per la gestione multifunzionale e la ricerca: dallo studio del passato al ruolo delle foreste del futuro” (8:30-10:30 Mercoledi 11 Settembre 2024 ) del XIV Congresso Nazionale SISEF “Foreste per il futuro” (Padova).
Da oltre 10 anni, non solo in Italia, alberi e foreste sono oggetto di particolare attenzione nei media e nell’opinione pubblica. In campo editoriale è disponibile una densa selva di libri che trattano di piante, alberi e foreste o che li includono nei titoli per una maggiore attrattività. Alberi e verde urbano sono stati straordinariamente presenti anche nei programmi di gruppi o partiti di orientamento opposto nelle ultime elezioni amministrative. Tale attenzione, in linea di principio, dovrebbe costituire un valore aggiunto per la società e soprattutto per chi lavora a vario titolo nel settore forestale-ambientale o più in generale nella pianificazione del territorio. Tuttavia, ad un’analisi più attenta del fenomeno, i temi trattati sono spesso utilizzati in modo non scientifico e ad alto rischio di disinformazione. Alberi e foreste sono presentati all’opinione pubblica attraverso una lente antropomorfa in cui, a seconda dei contesti, diventano vittime (a volte killer), individui senzienti, intelligenti, consapevoli, comunicanti, sociali, in movimento, con immaginari poteri salvifici. Questi aspetti, in gran parte non comprovati dalla ricerca scientifica, tendono a sopraffare le attuali conoscenze dei processi bio-ecologici che stanno alla base dei loro cicli vitali e delle loro funzioni, con rischi socio-culturali che è opportuno evidenziare e contrastare.
Le piante sono senzienti e/o intelligenti?
Con antropomorfismo si intende la tendenza ad associare aspetto, facoltà e destini umani a figure immaginarie, animali e cose. In passato l’attribuzione era riservata alle divinità, in tempi moderni agli animali e da alcuni anni anche alle piante. La presenza di una qualche forma di capacità mentale negli organismi viventi (e non) è stato nel corso della storia un tema ricorrente nella discussione filosofica sul mondo. Il panpsichismo è la teoria secondo la quale la mente (psiche) sarebbe elemento fondamentale e ubiquitario della realtà universale e quindi presente in tutti gli enti, viventi e non viventi. Concetti panpsichici sono riferibili a Talete, Platone, Democrito, Campanella, Bruno, Patrizio, Spinoza, Leibniz e molti altri. Peraltro, Platone nel Timeo afferma: “…la loro (delle piante n.d.a) ‘cognizione’ riguarda unicamente la salvaguardia di sé, non l’acquisizione di nozioni teoretiche; di conseguenza, le piante non hanno né mai avranno, ad esempio, la possibilità di cogliere il buono in sé".
Un ulteriore tentativo di attribuire coscienza, sentimenti e intenzionalità alle piante, si consolida con la biologia romantica derivata dalla Naturphilosopie di Schelling (XVIII secolo) contrario alla concezione cartesiana/newtoniana di un universo deterministico obbediente alle sole leggi fisiche (Taiz et al. 2019). In tale contesto alcuni noti botanici ritenevano, per esempio, che le piante avessero relazioni sessuali condite da passioni e desiderio come nel mondo animale. Lo stesso Linneo ne fa riferimento nei suoi trattati: “I petali effettivi del fiore non contribuiscono in nessun modo al processo generativo, ma servono soltanto come talami, che il grande Creatore ha così gloriosamente predisposto, adornandolo con tali nobili tende e profumato con numerosi e dolci aromi, affinché lo sposo vi possa celebrare le sue nozze con la sua sposa in grande solennità. Quando il letto sarà così preparato, sarà tempo che lo Sposo abbracci la sua amata Sposa e le consegni i suoi doni”.
L’interesse per il tema dell’intelligenza/”senzienza” delle piante è stato recentemente rivitalizzato nell’ambito della cosiddetta “neurobiologia vegetale”, disciplina che sebbene non sia ufficialmente riconosciuta a livello internazionale per l’assenza di sistemi neurali nelle piante, ha raccolto numerose attenzioni e adesioni. La letteratura scientifica sul concetto di intelligenza vegetale è caratterizzata da posizioni antagoniste e non troppo stimolanti in un contesto planetario che forse necessita di altre attenzioni e priorità. Il nodo della questione riguarda la definizione di intelligenza. Oggi gran parte dei biologi vegetali afferma che la capacità di adattamento ad ambienti mutevoli che hanno anche organismi più semplici (es. batteri) non può essere tradotta in chiave “neurale e cognitiva” senza fornire rigorose e convincenti evidenze poiché microbiota e organismi vegetali sono privi del complesso sistema di neuroni, sinapsi e cervello (Mallatt et al. 2023).
Dalla scienza alla divulgazione
Se quello dell’intelligenza vegetale fosse un problema puramente scientifico rimarrebbe nei confini della letteratura di riferimento, ma alcuni dei sostenitori di tale ipotesi sono diventati anche divulgatori e da diversi anni, forti del loro ruolo, propongono, senza sufficienti prove, le loro convinzioni come verità scientificamente acquisite. Nel 1973 negli USA viene pubblicato the Secret Life of Plants di Peter Tompkins e Christopher Bird, due giornalisti ma anche ex agenti dei servizi segreti, i quali presentarono al grande pubblico esperimenti controversi che pretendevano di rivelare fenomeni insoliti associati alle piante quali la loro capacità di comunicare con altre creature, compresi gli esseri umani. Gli autori proponevano un mondo naturale governato da legami chimici, differenze di potenziale e campi elettromagnetici, ma in cui le piante, sospese fra terra e cielo, fra fisico e metafisico, avrebbero approcci e strumenti per una vita migliore, più connessa con il nostro io più profondo e con l'ambiente circostante. Il libro venne duramente criticato dal mondo della ricerca per aver promosso affermazioni pseudoscientifiche. Da circa 20 anni l’argomento è tornato decisamente in auge: è sufficiente entrare in una libreria o girovagare in rete per osservare che il contesto è profondamente mutato. È in corso una sorta di “epidemia” multimediale a livello internazionale, fra libri, TED talk, partecipazioni a programmi d’intrattenimento TV e interviste su importanti testate giornalistiche in cui emergono particolarmente personaggi come Suzanne Simard, Peter Wohlleben, Stefano Mancuso, Paco Calvo e Monica Gagliano.
Suzanne Simard
Ecologa forestale canadese che nel 1997 pubblicò su Nature un originale studio che meravigliò il mondo scientifico sostenendo che le piante, all'interno delle comunità, sono interconnesse e si scambiano risorse attraverso una rete comune di micorrize (Simard et al.1997).
Su tali basi propose di riformulare la teoria secondo la quale le dinamiche delle comunità vegetali funzionerebbero principalmente in base ai limiti di approvvigionamento delle risorse enfatizzando il mutualismo tra piante e micorrize. Risultati controversi di successivi studi trovano amplificata collocazione in una lunga serie di interviste, documentari, podcast, che sfociano nel libro pubblicato nel 2022 “Finding the Mother Tree: Uncovering the Wisdom and Intelligence of the Forest” (in Italiano “L’Albero Madre: alla scoperta del respiro e dell'intelligenza della foresta").
Nel piano dominante delle foreste boreali si troverebbero “alberi madre” ovvero individui dominanti che, come degli hub, sarebbero intimamente collegati attraverso una rete di micorrize (World Wood Web) ai loro semenzali nelle vicinanze, con i quali condividerebbero l'eccesso di carbonio (C) e di azoto (N), aumentando la loro capacità di sopravvivenza e crescita. Tali ipotesi sono state decisamente contestate da recenti studi e verifiche anche da parte di ex-colleghe di Simard (Karst et al. 2023; Henriksson et al. 2023), dimostrando che il trasferimento diretto di C dalle piante madri alle piantine attraverso le reti di micorrize implicherebbe un comportamento fungino notevolmente collaborativo, con benefici adattativi discutibili, specialmente per il fungo. Forse, invece, si potrebbe spiegare che il fungo trasporta il carbonio per proteggere i propri interessi, coltivando ospiti multipli per garantirsi la sua futura fornitura di cibo. Tale spiegazione non è altruistica né affascinante e ci allontana dalla visione sociale e benevola che Simard propone. Se fosse realistica la facilitazione parentale in semenzali figli delle “madri” avrebbe conseguenze significative anche nella gestione forestale, poiché si dovrebbero poter individuare tali soggetti e seguirne gli effetti delle comunicazioni micorriziche. Le dinamiche di rinnovazione di gran parte delle foreste temperate non richiedono necessariamente metodi isotopici per quantificarle (Högberg e Högberg 2022) ma sono anche facilmente osservabili in campo. Ebbene, queste contraddicono l’ipotesi di Simard, evidenziando rapporti fortemente concorrenziali e una “fuga” dei semenzali dalle piante disseminatrici.
Secondo Kathryn Flynn, ecologa vegetale della Baldwin Wallace University, USA (Scientific American 2021), ma anche per tutti quei tecnici forestali che gestiscono i processi di rinnovazione gamica nei boschi di altofusto, il sottobosco è un’arena in cui vige una concorrenza spietata: “un acero o un faggio maturo produce milioni di semi e in media solo uno crescerà e raggiungerà il piano dominante. Gli altri moriranno, con o senza l’aiuto di mamma”. In questa lotta talvolta gli alberi possono facilitare reciprocamente la loro crescita, ma ciò non prova che una foresta funzioni come un organismo.
Rinnovazione di faggio in un gap alla Serre del Burano (PU) (Foto Urbinati)
Un ecosistema comprende una diversità mutevole di individui e specie con un’altrettanta mutevole varietà di interazioni positive e negative. Peraltro, nonostante le numerose critiche ricevute in campo scientifico, Simard nel 2024 è stata considerata da TIME una delle cento persone “più influenti al mondo”.
Peter Wohlleben
Tedesco, ex guardia forestale, ha ripudiato le conoscenze “classiche” della selvicoltura ed abbracciato le teorie di Simard e dei “neurobiologi vegetali” pubblicando, nel 2015, “La vita segreta degli alberi”, un best seller internazionale. Wohlleben attribuisce agli alberi diverse caratteristiche umane come il provare dolore, essere felici e prendersi cura di altri alberi, essere in grado di comunicare con altri individui e di creare strategie altruistiche, per le quali però non fornisce alcuna prova credibile. Il libro e il suo autore sono stati duramente criticati in un articolo a firma di oltre 30 noti ricercatori internazionali di diverse discipline ecologiche (Robinson et al. 2024). Fra le tante affermazioni di Wholleben ce ne sono due particolarmente inverosimili:
- una foresta non ha alcun interesse a perdere individui 'più deboli' della stessa specie e quindi la concorrenza è limitata al solo livello interspecifico;
- per ogni pezzo di legno bruciato nel fuoco a casa, un’analoga quantità di anidride carbonica è rilasciata dal suolo forestale da cui proviene. Pertanto alle nostre latitudini gli stock di carbonio sotto gli alberi sono depauperati alla stessa velocità con cui si formano.
Anche in questo caso, nonostante l’inconsistenza scientifica delle sue affermazioni, Wohlleben ha continuato ad attirare nuovi sostenitori ed è anche diventato una personalità televisiva in Germania, utilizzato da vari gruppi e associazioni come testimonial per criminalizzare normali interventi selvicolturali presentandoli come distruzioni delle foreste. Evidentemente per motivi di audience non viene messa in discussione la sua (in)competenza, aspetto che diventa problematico quando però amministratori e/o politici lo coinvolgono in attività e/o progetti istituzionali. Wohlleben nel febbraio 2020 è stato invitato, con grande stupore della comunità scientifica, a tenere una conferenza sulle foreste, la biodiversità e i cambiamenti climatici organizzata dalla Commissione Europea. Egli è stato anche nominato membro del comitato consultivo per il Decennio del Restauro Ecologico della UE per la sua “comunicazione emotiva e non convenzionale” (ma, bisogna dirlo, basata principalmente su convinzioni personali, supposizioni e non su effettiva sperimentazione). Tutto ciò costituisce motivo di grande preoccupazione per i ricercatori del settore ecologico e forestale tedeschi ed europei.
Stefano Mancuso
Professore ordinario all’Università di Firenze nel settore scientifico dell’Arboricoltura generale, è direttore di un laboratorio di “neurobiologia vegetale”, termine improprio poiché l’omonima società scientifica internazionale (Plant neurobiology) istituita nel 2006, dopo accese polemiche, cambiò nome in Plant signaling and Behaviour, sebbene alcuni sostenitori continuino ad utilizzare impropriamente la denominazione originale (Taiz et al., 2019). Nel 2013 Mancuso ha pubblicato “Verde Brillante: sensibilità e intelligenza del mondo vegetale”, il primo di una serie di libri che ha avviato anche in Italia una nuova narrazione su piante, alberi e foreste. Un’analisi della sua produzione scientifica peraltro evidenzia aspetti contrastanti: da un lato si nota un’attività di ricerca su argomenti classici di fisiologia vegetale prevalentemente su specie di interesse agrario; dall’altro una partecipazione, non come autore principale, a lavori di “neurobiologia vegetale”. Infine, solo recentemente, ha collaborato alla pubblicazione di un articolo sulla piantagione di alberi per compensare le emissioni di gas clima-alteranti (Francini et al. 2024). Indici bibliometrici, quantità e, soprattutto, qualità di articoli scientifici non consentono di considerarlo un luminare né sui temi dell’intelligenza delle piante, né su quelli di arboricoltura o selvicoltura urbana. Il peso specifico della sua notorietà è sicuramente dato dai suoi libri divulgativi che non sono sottoposti a revisione scientifica (peer review) ma che hanno contribuito ad avvicinare il grande pubblico al mondo vegetale. Il suo messaggio vincente è stato quello di valorizzare culturalmente la supremazia del mondo vegetale su quello animale, peraltro concetto elementare in ecologia, dato che le piante sono organismi autotrofi e quindi indipendenti dal mondo animale. La sua narrazione ha da subito incluso la visione antropomorfica attraverso le teorie seducenti di Simard ed altri, sebbene non scientificamente riconosciute. Mancuso è stato definito “la star dei divulgatori sui temi degli alberi (Mori 2024b) e ormai svolge una collaudatissima e remuneratissima attività di comunicazione e di progettazione attraverso una startup che ha prodotto alcuni brevetti di discutibile funzionalità e diffusione (quali Plantoid, Fabbrica dell’aria, Jellyfish badge). Negli ultimi anni è stato praticamente ubiquitario, forse oppresso da una bulimia mediatica, con interventi quasi giornalieri anche su argomenti marginali o oltre le sue competenze. Un aspetto controverso è quello della sua partecipazione, insieme ad altri noti personaggi nazionali (es. Stefano Boeri architetto e progettista dei cosiddetti “Boschi Verticali”, Chicco Testa ex politico e dirigente industriale, alla Fondazione Futuro delle Città (www.futurodellecitta.it), oggetto di un discusso finanziamento statale di circa 14 milioni di euro stanziato con legge di bilancio 178 del 30.12.2020 per interventi di miglioramento urbano. Di questa fondazione lo stesso Mancuso è direttore scientifico con retribuzione.
A differenza di quanto avvenuto a livello internazionale per Simard e Wohlleben, le narrazioni di Mancuso non sono state sufficientemente contrastate dalla comunità scientifica nazionale.
Ci sono state prevalentemente posizioni a carattere individuale sia di ricercatori (es. La Mantia, Vacchiano, Bonfante, Ferrini, Urbinati), sia di divulgatori (Mori 2024a, Mori 2024b, Torreggiani 2024a, Torreggiani 2024b). Solo in un caso a seguito di un progetto sul verde urbano di Prato (Il Bosco delle Neofite), realizzato con la consulenza di Mancuso, si sono mobilitate la Società Botanica Italiana, la Società Italiana di Biogeografia, la Società Italiana Scienza della Vegetazione e la Federazione italiana di Scienze della Natura e dell'Ambiente per evidenziare pubblicamente l’inadeguata strategia di comunicazione con cui è stata presentata l’iniziativa, utilizzando l’analogia tra le migrazioni di esseri umani e l’introduzione artificiale di specie vegetali che mai sarebbero arrivate con i loro mezzi biologici. L’utilizzo di specie aliene proposto è riconducibile alla convinzione di Mancuso che “le specie invasive sono le più belle piante che posso immaginare; più sono invasive e più mi piacciono, perché sono l’esempio più brillante di abilità nel risolvere i problemi”, utilizzando in modo ambiguo le teorie evoluzionistiche di Darwin.
Quali i rischi e gli effetti diretti e indiretti di una scorretta informazione?
Sophie Yeo, scienziata e divulgatrice inglese (Nature’s ghosts, 2024) sostiene che semplicità e “romanticismo” abbiano vinto su complessità e sfumature. La ripetizione di alcune affermazioni soppianta facilmente la realtà; quando abbastanza voci cantano all'unisono, pochi si fermano a mettere in dubbio se le parole siano vere. Pertanto, la reiterata narrazione antropomorfica trova consenso nell’opinione pubblica perché istintivamente condivisibile: alberi e foreste sono organismi e sistemi a noi simili, connessi, collaborativi e quindi in linea con i principi dominanti nelle società occidentali.
Immagini create con IA sulla base di un testo formulato dall’Autore di questo articolo.
Daniel Immerwahr uno storico americano di Northwestern University, evoca una sorta di catarsi collettiva per compensare gli umani sensi di colpa, per aver considerato per millenni gli alberi e le foreste solo come miniere di legno (The Guardian 2024). Viene quindi offerta una forma di redenzione per la quale siamo invitati ad abbracciarli come parenti. Non a caso tutto ciò accade in un momento storico in cui la popolazione urbana ha numericamente superato quella rurale e in cui conflitti, crisi climatiche e socio-economiche minano una percezione positiva del futuro.
Vi è quindi un problema di natura etica nella divulgazione scientifica da parte di soggetti con il doppio ruolo di comunicatori e ricercatori, che richiede oggettività o almeno scienza e coscienza, evitando di promuovere convinzioni personali, soprattutto se non confermate dalla comunità scientifica, poiché hanno il potere di condizionare le scelte dei decisori politici e delle persone (Mori 2024b; Torreggiani 2024b). La notorietà di tali personaggi è aumentata enormemente perché la loro visione del mondo vegetale assegna semplicisticamente alle piante una funzione salvifica e sociale in risposta ai complessi problemi connessi ai cambiamenti climatici e globali. Per soluzioni epocali sono necessarie evidenze epocali e queste, oggettivamente, non si vedono nelle teorie di Simard, Mancuso et al.
Le semplicistiche proposte veicolate conducono invece all’obliterazione di principi ecologici (es. la capacità portante degli ecosistemi, rapporti di competizione e facilitazione, riduzione esponenziale del numero di alberi nel tempo) e di evidenze sperimentali consolidate, nonché alla negazione della complessità ecosistemica e della eterogeneità delle opzioni gestionali disponibili. Per esempio, la convinzione di compensare le emissioni di gas climalteranti con rimboschimenti generalizzati a diversi livelli di scala è stata infatti confutata da una autorevole letteratura internazionale che contrappone l’indisponibilità dei terreni, la difficoltà di produzione del materiale di propagazione e la limitata efficienza compensativa rispetto alle emissioni totali (Mori 2024b). Nell’ambito del verde urbano tale approccio ha sdoganato diffusi interventi definiti “creativi”, ma che si sono spesso rivelati fuorvianti nella denominazione (es. boschi verticali, boschi che camminano) e privi di sostenibilità sia ambientale che socio-economica e qualificabili, in generale, più come green washing che come nature based solutions. L’opinione pubblica si preoccupa di un albero tagliato in città, ma si distrae di fronte alle grandi sfide ambientali planetarie quali il controllo delle emissioni di gas climalteranti, della produzione di microplastiche, della deforestazione nelle aree tropicali e sub-tropicali e della perdita di biodiversità. Nel contesto italiano l’attenzione dovrebbe anche rivolgersi alla riduzione di consumo di suolo e al dissesto idrogeologico, ad un globale ripensamento della pianificazione urbanistica e territoriale, al recupero delle aree montane e marginali e alla gestione sostenibile della crescente superficie forestale, ormai verso il 40% di quella nazionale.
Conclusioni
Dobbiamo prendere atto che la visione antropomorfica di alberi e foreste è molto diffusa nell’opinione pubblica e anche fra i decisori pubblici.
È però necessaria una demarcazione netta ed esplicita dei confini fra realtà e fantasia, da realizzare con un efficace contraddittorio pubblico e con documenti di posizione sullo stato delle conoscenze condivisi nelle comunità scientifiche. Ciò dovrebbe dar luogo anche ad un miglioramento quali-quantitativo della divulgazione multimediale della ricerca scientifica di base ed applicata. A tale scopo si potrebbe ottimizzare l’utilizzo dei fondi destinati alla terza missione, ma è necessario anche migliorare la qualità della comunicazione, che dovrebbe anche includere un po’ di “cuore” e non solo ratio nel racconto globale.
In questi ultimi anni sono aumentati gli esempi di buona comunicazione scientifica dal vivo e sui media relativi ad alberi, foreste e la loro gestione sostenibile, promossi e/o attuati da figure pubbliche e private, accademiche e non, nel tentativo di controbilanciare lo strapotere mediatico di narrazioni semplicistiche e fuorvianti. Perché allora non definire una strategia di comunicazione condivisa e coordinata dalle società scientifiche coinvolte su tali temi? Inoltre, sarebbe auspicabile un cambio di paradigma nel comunicare l’immagine dei tecnici forestali che, troppo spesso sono erroneamente identificati da una parte dell’opinione pubblica come meri esecutori, dato che la selvicoltura, sistemica, naturalistica, adattativa, d’albero che sia, si attua sempre con la riduzione della densità arborea ovvero con la motosega. Si dovrebbe invece valorizzare la parte meno visibile del lavoro dei tecnici forestali, ovvero il loro approccio multidisciplinare che utilizzano nelle analisi e nel monitoraggio degli ecosistemi, funzionale alla pianificazione forestale in cui si fondono conoscenza del territorio, valutazioni della multifunzionalità delle risorse e processi partecipativi con le popolazioni locali.
L’operazione non è semplice, poiché una parte dell’opinione pubblica italiana e del mondo occidentale, soprattutto nelle aree urbane, ha letto i libri di Mancuso, Simard, Wohlleben, ma anche di Paco Calvo (autore di Planta Sapiens) e Monica Gagliano (autrice di Così parlò la pianta) ed è affascinata, quasi come nel film Avatar di James Cameron, dalle surreali visioni del mondo vegetale. Kathryn Flynn sostiene che pensare che le piante siano come o addirittura meglio degli esseri umani potrebbe effettivamente danneggiare la causa della conservazione. Dobbiamo raccogliere la sfida di coltivare il rispetto per gli organismi che sono diversi da noi, nei loro corpi separati e complessi, nelle loro sofisticate interazioni, nelle loro vite in gran parte insondate. La natura non condivide i nostri valori e, per nostra fortuna, possiamo scegliere di non emulare tutti i modi della natura. Blaise Pascal (Pensées, 1670) affermava che la grandezza dell’uomo è nella sua consapevolezza di essere miserabile, cosa che un albero non è in grado fare.
Autori:
Carlo Urbinati, Area Sistemi Forestali - Università Politecnica delle Marche, Ancona.
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Mori P., 2024b. Crisi climatica: perché NON pianteremo 100 miliardi di alberi in breve tempo www.rivistasherwood.it/t/fuori-foresta/crisi-climatica-100-miliardi-alberi-mancuso.html
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Torreggiani L., 2024b. Botanic wars. Il Tascabile Treccani. www.iltascabile.com/scienze/botanic-wars/
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Pascale ci consegna un diario, un itinerario all’interno del suo “giardino botanico”, dove vengono raccontati i traguardi, ma anche i fallimenti e le debolezze di una vita intrecciata alle pi
Antennae - Se gli alberi potessero registrarci
Un podcast di RAI Play Sound che, in cinque puntate, prova a raccontare altrettante storie scritte a partire dall’immaginario Archivio Dendrosonico: per parlare del presente e del passato.
Il suono del legno
Un video che ripercorre a ritroso il viaggio che ha per protagonista il legno di risonanza di un abete rosso trasformato in un clavicembalo artigianale di elevatissima qualità acustica.
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