Siamo in conflitto con le future generazioni?
Editoriale a firma della Redazione e del Consiglio Editoriale di Sherwood
Un recente commento di Fabio Clauser, pubblicato su L’Italia Forestale e Montana(1), ci ha particolarmente colpiti, tanto da spingerci a rispondere con questa breve riflessione.
Nel testo il noto Autore, ex Amministratore delle Foreste Casentinesi e conosciuto per aver dato vita alla prima Riserva integrale d’Italia (Sasso Fratino), descrive quella che nel nostro Paese viene comunemente definita “gestione forestale attiva e sostenibile” come una “selvicoltura di reimpoverimento del nostro patrimonio forestale”, che sarebbe attualmente in atto, nei boschi italiani, “attraverso leggi, regolamenti e strategie”, a favore delle “élite dei taglialegna” e a discapito delle generazioni future.
Nello stesso articolo Clauser sostiene che sarebbe in corso anche una “narrazione fantasiosa” e una “campagna informativa mistificatrice” da parte di Istituzioni politiche e scientifiche, Associazioni, imprese e anche Gruppi ambientalisti: tutti evidentemente ignoranti, ciechi e insensibili verso le dinamiche naturali oppure spinti da interessi di parte volti ad un guadagno immediato, basato sullo sfruttamento indiscriminato del patrimonio forestale.
La cosa che più ci ha colpito è che l’Autore sostiene che saremmo di fronte ad un evidente ed enorme “conflitto di interessi tra le generazioni future e quelle che ora stanno orientando la politica forestale”, scontro che starebbe portando a “ridurre la produzione biologica dei boschi”, perché “rinnovabile non significa inesauribile”.
Ci siamo sentiti presi in causa, come Redazione e Consiglio Editoriale di Sherwood, perché sosteniamo da sempre che la gestione attiva e sostenibile delle foreste sia, al contrario, proprio un’azione utile alle future generazioni.
L’articolo ci ha spinti a chiederci se davvero il nostro lavoro, le nostre idee, le nostre scelte, siano in forte conflitto con un’idea di futuro sostenibile.
Pronti a ricrederci di fronte ad eventuali diverse evidenze ci sentiamo di rispondere, sinceramente, di no!
Crediamo infatti che le foreste gestite in modo attivo e sostenibile siano parte della necessaria strategia di decarbonizzazione.
Crediamo nella necessità di una loro tutela, anche integrale in certi casi, come Clauser in modo lungimirante ha introdotto con Sasso Fratino, ma anche nell’opportunità, in altri, di una loro corretta utilizzazione, nelle varie forme di governo studiate e sperimentate da secoli.
Crediamo nella sostenibilità di un prelievo legnoso da mantenere al di sotto dell’incremento annuo delle foreste.
Crediamo nel legno come materia prima rinnovabile (e a basso impatto ambientale nelle fasi di estrazione, lavorazione, smaltimento) da preferire a plastica, acciaio e cemento.
Crediamo nei manufatti in legno durevoli come “grandi magazzini” di CO2 in grado di stoccare il carbonio fossile che stiamo continuando a emettere nell’atmosfera.
Crediamo nel legno anche come fonte di energia rinnovabile, se utilizzato con un “approccio a cascata” (ogni volta che è applicabile), in generatori ed impianti ad alta efficienza, basse emissioni e a scala adeguata al contesto locale.
Crediamo nella selvicoltura, come scienza in grado di dare sostanza a tutti i servizi che, come esseri umani, chiediamo costantemente al bosco.
Crediamo nella pianificazione forestale partecipata, quale strumento di base della sostenibilità, in grado di organizzare il territorio tenendo assieme tutte le diverse esigenze della società nei confronti della foresta.
Crediamo nel ruolo fondamentale delle attività selvicolturali e di gestione nel sostenere le economie di piccola scala essenziali al presidio del territorio.
Crediamo in una gestione sostenibile delle foreste che permetta di ridurre gli impatti di eventi naturali pericolosi quali incendi, smottamenti e inondazioni, che compromettono i servizi forniti dal bosco e mettono a rischio le nostre stesse vite.
Crediamo che valorizzando in modo sostenibile il legno locale si possa contrastare lo sfruttamento delle foreste che avviene in altre parti del Pianeta, da cui spesso ci approvvigioniamo facendo finta di non vedere.
Crediamo di lavorare, giornalmente, a vantaggio e non a discapito delle generazioni future, anche favorendo un dibattito aperto e costruttivo, soprattutto se basato su solidi dati scientifici e senza generalizzazioni di casi specifici.
Proprio su questo ultimo punto ci preme concentrarci. Ciò a cui NON crediamo, infatti, è il metodo della generalizzazione e vorremmo uscire da questa logica per instaurare un dialogo con Fabio Clauser e chi legittimamente sostiene il suo monito.
Su quali dati, ricerche, studi, analisi, osservazioni si basano le sue affermazioni?
Dove, nello specifico, sarebbe in atto questo “reimpoverimento”?
La gestione forestale che l’Autore propone non avrebbe proprio alcun tipo di problema, ad esempio, per quanto riguarda il ciclo del carbonio o il pericolo incendi?
Generalizzare significa ridurre il confronto su temi così importanti a prese di posizione ideologiche. Significa da un lato non concentrarsi su casi specifici di buona o cattiva gestione forestale, che pur ci sono e su cui sarebbe necessario discutere puntualmente; dall’altro, non definire un quadro generale basato su dati solidi sui quali avviare un confronto, ma fare di ogni erba un fascio, annullando così il dibattito.
Non crediamo che in questo modo si animi un sano e costruttivo confronto tecnico-scientifico, che sarebbe invece necessario su questi temi cruciali e divisivi anche all’interno di parte della comunità scientifica, oltreché dell’opinione pubblica.
Occorrerebbe infine riflettere in modo “sistemico” non solo su come gestire i nostri boschi, ma anche su come ridurre concretamente l’impatto di quasi otto miliardi di esseri umani sul Pianeta, perché su una cosa siamo d’accordo con Clauser: tutti noi, chi più, chi meno, abbiamo un impatto su di esso. Di conseguenza siamo tutti in qualche modo parte di un conflitto inevitabile con le future generazioni. Non ci resta che impegnarci nel trovare e concretizzare le molteplici soluzioni per contenerlo il più possibile. Soluzioni che, a nostro avviso, passano inevitabilmente anche per la “produzione industriale” criticata dall’Autore, che dovremmo forse provare a migliorare piuttosto che denigrare.
Se si vorrà avviare un sano dibattito su queste basi noi ci saremo, perché vorremmo lavorare assieme per trovare soluzioni concrete alle quali, come settore forestale, potremo contribuire proprio per il bene, e non certo per il male, delle generazioni future.
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