Addio al “doppio vincolo” paesaggistico sugli interventi selvicolturali
Approvato l'emendamento che toglie il doppio vincolo ai boschi che ricadono in aree di interesse...
Negli ultimi anni, su questo sito, ci siamo più volte occupati in modo critico della narrazione di Stefano Mancuso, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze nonché saggista e divulgatore di grande successo.
Lo abbiamo fatto con due articoli di Paolo Mori (qui e qui) e con un articolo di Luigi Torreggiani (qui).
Anche “Il Tascabile”, la rivista di approfondimento della Treccani, ha scelto di approfondire il tema. Lo ha fatto proprio attraverso un articolo del nostro Luigi Torreggiani che, a partire da fatti recenti di cronaca che coinvolgono Mancuso in prima persona (i “casi” del Bosco delle Neofite di Prato e della proposta di piantare mille miliardi di alberi), si interroga su dove si colloca il confine tra “una divulgazione scientifica onesta e un’altra che, al contrario, finisce per essere tendenziosa”.
Nell’articolo, insieme a numerose altre citazioni e prese di posizione di scienziati, vengono più volte citati gli articoli apparsi su Sherwood e viene proposta una testimonianza del Direttore Mori.
“L'articolo non è un’accusa contro la persona di Mancuso, che ha il merito di saper parlare a tantissime persone sensibilizzandole su temi cruciali come la crisi climatica”, ha sottolineato Torreggiani, “l'obiettivo è cercare di mettere a fuoco, di cartografare mentalmente, quelli che ho definito i confini della divulgazione scientifica. La riflessione è dedicata a tutti coloro che, con fatica, provano a cimentarsi in questa sfida difficilissima non eludendo la complessità, con molto meno successo di certe star del nature writing, ma mantenendo un equilibrio a mio avviso prezioso”.
I due casi citati permettono di comprendere quanto possa essere sfumato e labile il “confine” citato da Torreggiani e di focalizzare i molti modi in cui gli scienziati-divulgatori rischiano di sconfinare, a cominciare dall’umanizzazione forzata della natura, evidentemente efficace ma al tempo stesso rischiosa. Ma anche l’occultamento della complessità dei fenomeni per rendere un messaggio più semplice e accattivante, la divulgazione di dati non corretti e la promozione di soluzioni non realizzabili pur di far colpo sull’opinione pubblica, l’omissione degli ostacoli oggettivi di una proposta per renderla più credibile, la diffusione di messaggi fuorvianti, potenzialmente in grado di confondere il pubblico e portare quindi a scelte e investimenti – personali e collettivi – non adeguati o addirittura peggiorativi.
“Se uno o più di questi confini viene superato, il fine della divulgazione – per quanto condivisibile – non può giustificare i mezzi, perché i danni culturali e materiali potrebbero rivelarsi ben maggiori dei benefici”, si sottolinea nell’articolo.
L’invito è di leggere e condividere questo approfondimento.
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