Addio al “doppio vincolo” paesaggistico sugli interventi selvicolturali
Approvato l'emendamento che toglie il doppio vincolo ai boschi che ricadono in aree di interesse...
di Luigi Torreggiani e Andrea Barzagli
Questo articolo-intervista è stato realizzato nell’ambito del progetto FOR.SA - Foreste e Salute, coordinato dalla Foresta Modello delle Montagne Fiorentine e finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana, bando GAL Start, misura 19.2.
Ogni intervista realizzata è disponibile sia in versione podcast che in forma scritta.
L'intera serie podcast, in sei puntate, è disponibile gratuitamente su tutte le piattaforme di ascolto.
Negli ultimi anni chi frequenta le foreste per passione, per lavoro, o per entrambi questi aspetti, non è potuto rimanere indifferente di fronte a nuovi termini entrati molto rapidamente nelle discussioni e nel dibattito: “Shinrin-yoku”, “Forest bathing”, “Bagni di foresta”, “Terapia forestale”. Termini praticamente sconosciuti fino a pochi anni fa, che hanno portato con sé un modo differente di frequentare l’ambiente forestale: con finalità curative.
Con l’arrivo di queste pratiche sono nate interessanti opportunità ma, al tempo stesso, si sono evidenziati anche limiti e criticità. Si tratta di una nuova, grande sfida della multifunzionalità forestale, da inserire con attenzione e lungimiranza tra le tante altre sensibilità e attività, anche economiche, che ruotano attorno agli ambienti boschivi.
Per approfondire l’origine e lo sviluppo in Italia di queste pratiche abbiamo chiesto aiuto a Federica Zabini, ricercatrice del CNR - Istituto per la Bioeconomia, che è stata tra le prime nel nostro Paese a studiare questi nuovi approcci.
“La Terapia forestale, per come la intendiamo oggi, ha un’origine ben precisa”, spiega Zabini, “è iniziata ad essere praticata e studiata in Giappone dalla seconda metà del Secolo scorso. Nel 1982 lo “Shinrin-yoku”, traducibile in italiano come “bagno di foresta” o “immersione nell’ambiente forestale”, è entrato a far parte del programma sanitario nazionale giapponese come vera e propria forma di medicina complementare e preventiva nell’ambito specifico dello stress correlato al lavoro, purtroppo molto diffuso in quel contesto”.
Si trattava inizialmente di attività svolte in grandi parchi urbani, che poi sono state via via estese anche ai veri e propri ambienti forestali. Mancavano tuttavia ancora delle solide evidenze scientifiche sulla reale utilità di queste pratiche per la salute umana.
“Nel 2004”, sottolinea Federica Zabini, “proprio in Giappone è stato avviato il primo grande progetto scientifico per indagare gli effetti terapeutici della foresta sulla salute. Questo interesse della scienza ha spinto ricercatori di altri Paesi ad affacciarsi all’argomento, ma gli studi e le esperienze, per molto tempo, sono state limitate al continente asiatico, coinvolgendo ad esempio la Corea e più tardi la Cina. Molto più recentemente però, a partire dal 2016, l’interesse verso questo argomento si è spinto anche in altre aree del mondo. Da quell’anno in poi si sono moltiplicate sia le pubblicazioni scientifiche che le esperienze vere e proprie. In Italia queste pratiche hanno fatto il loro ingresso appena prima del 2020, anno caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 che, come tutti sappiamo, è stata anche un acceleratore per tutto ciò che concerne il riavvicinamento delle persone alla natura”.
Nel 2004 in Giappone è stato avviato il primo grande progetto scientifico per indagare gli effetti terapeutici della foresta sulla salute. Questo interesse della scienza ha spinto ricercatori di altri Paesi ad affacciarsi all’argomento.
Del 2020 è anche il riconoscimento ufficiale, da parte dell’ONU, degli effetti dati dalla frequentazione degli ambienti forestali sulla salute umana, benefici riconosciuti come ad ampio spettro, perché legati sia alla sfera fisica che a quella psicologica. Nel 2022 anche l’Italia, con l’allora Mipaaf, ha mosso un passo importante verso il riconoscimento della Terapia forestale, includendo questo termine nella prima Strategia Forestale Nazionale tra i servizi socio-culturali degli ambienti forestali.
Una volta entrate in Italia e riconosciute ufficialmente, queste pratiche hanno iniziato a diffondersi a macchia d’olio, spesso però in modo estemporaneo, senza evidenze né criteri di base comuni e con approcci anche molto differenti l’uno dall'altro.
“Questa ampia diversità e varietà nell’offerta non è un tema solo italiano”, spiega Zabini, “in tutti i Paesi occidentali, dove a differenza del Giappone e di altri Paesi asiatici queste pratiche non sono ancora state inserite in protocolli medici ben definiti, tante iniziative non rispondono a standard specifici. Questo non è un male in assoluto: tutte le attività volte a riavvicinare una società fortemente urbanizzata alla natura sono da considerarsi positive! Ma se si vuole utilizzare la parola “terapia” allora le cose cambiano. Terapia forestale è un termine ambizioso, caratterizzato da una connotazione socio-sanitaria. Proprio per questo occorrono studi, protocolli e professionalità specifiche, per evitare di confondere queste pratiche, che sono terapeutiche e quindi mediche, con altre di carattere sociale o ludico”.
Terapia forestale è un termine ambizioso, caratterizzato da una connotazione socio-sanitaria
È su queste basi che il CNR, dal 2020, ha siglato un accordo per la ricerca e lo sviluppo di attività di Terapia forestale in Italia, a cui partecipano diverse istituzioni nazionali anche del campo sanitario, e che ha prodotto due interessanti volumi divulgativi. Solo attraverso questo percorso comune sarà possibile, in un prossimo futuro, assistere al riconoscimento della Terapia forestale come pratica da integrare nel Sistema Sanitario Nazionale, il vero grande obiettivo a cui tendere.
Ma un altro tema centrale che sarà da affrontare, secondo Federica Zabini, è quello della formazione: “Quali professionalità sono da coinvolgere nelle pratiche? Quali sono i corretti metodi di conduzione e quali i possibili risultati attesi? Manca ancora uno standard comune che tuttavia è fondamentale: non possiamo improvvisare o lasciare le varie iniziative al caso”.
Per spingerci un po’ in avanti, verso un futuro che, lo auspichiamo, vedrà queste pratiche riconosciute dal Sistema Sanitario, abbiamo chiesto infine a Federica Zabini quali possibili opportunità si potranno generare per i territori rurali e montani, come quello della Montagna Fiorentina interessato dal progetto FOR.SA - Foreste e Salute.
“Oltre all’aspetto terapeutico, che davvero può portare benefici alle persone, compresi tanti ragazzi con disturbi sempre più frequenti, avere percorsi adatti a queste pratiche in zone particolarmente vocate, come quelli individuati dal progetto FOR.SA, rappresenta un valore aggiunto per il rilancio e la riattivazione dei territori, anche come forma di contrasto allo spopolamento e di promozione della gestione delle foreste. Questi percorsi possono legarsi a nuove forme di turismo del benessere e generare un indotto diretto, ma anche stimolare la nascita di nuova imprenditorialità, magari giovanile, legata parallelamente anche al tema dell’educazione ambientale, del turismo lento e della riscoperta della montagna”.
Una freccia in più, insomma, nell’arco della gestione forestale sostenibile. Un’ulteriore occasione per pianificare, in modo responsabile, l’utilizzo multifunzionale di una risorsa, il bosco, che può generare servizi fondamentali a tutti noi, compresa la cura della nostra salute.
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