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La terapia forestale funziona davvero? Numerose evidenze scientifiche ne confermano l’utilità in vari ambiti clinici

La terapia forestale funziona davvero?

di Luigi Torreggiani e Andrea Barzagli

Questo articolo-intervista è stato realizzato nell’ambito del progetto FOR.SA - Foreste e Salute, coordinato dalla Foresta Modello delle Montagne Fiorentine e finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana, bando GAL Start, misura 19.2.

Ogni intervista realizzata è disponibile sia in versione podcast che in forma scritta.

L'intera serie podcast, in sei puntate, è disponibile gratuitamente su tutte le piattaforme di ascolto.

Camminare in bosco, stare immersi per ore in un ambiente naturale, fa stare bene. Questa è una sensazione ben nota a tutti coloro che amano vivere gli ambienti forestali, ma anche le campagne e le montagne in genere attraverso passeggiate, pedalate o semplici momenti di relax. Ma a questa percezione di benessere è associato anche un beneficio concreto per la nostra salute? Cambia davvero qualcosa nel nostro organismo a tal punto da incidere positivamente sul nostro benessere psico-fisico? Rispondere a queste domande è essenziale per poter davvero chiamare le pratiche immersive in foresta con il nome di “terapia”, per comprendere quali meccanismi e sostanze chimiche rendono il bosco un potenziale luogo di cura e per quali differenti patologie.

Da anni la scienza sta studiando i benefici degli ambienti forestali per la salute, con risultati spesso sorprendenti. Un esempio recente è relativo ad un recente studio scientifico, pubblicato sulla rivista “International Journal of Environmental Research and Public Health”, nel quale è stato dimostrato per la prima volta un effetto specifico e significativo sulla salute di alcune sostanze emesse dalle piante in ambienti forestali. Si tratta dei COV - Composti Organici Volatili. Per comprendere meglio il ruolo di queste sostanze, ma anche per scoprire altre evidenze scientifiche che danno un senso al termine “terapia forestale”, abbiamo intervistato Francesco Meneguzzo, dell’Istituto per la Bioeconomia del CNR, co-autore dello studio appena citato.

 

È stato dimostrato un effetto specifico e significativo sulla salute di alcune sostanze emesse dalle piante in ambienti forestali, stiamo parlando dei COV - Composti Organici Volatili.

 

“I COV sono particolari sostanze, chiamate metaboliti secondari, che vengono emessi dalle piante e che espletano diversi ruoli nel ciclo di vita delle stesse, in particolare hanno funzioni protettive”, spiega Meneguzzo. La cosa interessante è che tali sostanze incidono anche sull’organismo umano, che si è evoluto a stretto contatto con gli ambienti forestali. In pratica, inalando queste sostanze, il nostro organismo ha “imparato”, nel tempo, a trarne dei benefici.

“Si tratta di molecole organiche, molto leggere, che hanno tutte la stessa formula chimica bruta, ma diverse conformazioni geometriche. Ad ogni conformazione geometrica può corrispondere una particolare funzionalità specifica per la salute umana”, sottolinea Meneguzzo, “questo è noto già dai primi anni duemila, dove in Giappone l’immunologo Quin Li, fondatore e presidente della Società giapponese di Medicina Forestale, ha dimostrato sia con prove di laboratorio, sia attraverso esperienze in campo, gli effetti di queste sostanze sulle difese immunitarie”. Tali evidenze, approfondite non solo in Giappone, ma anche in altri Paesi asiatici come Cina e Taiwan, mostrano un effetto diretto di queste sostanze sull’attività dei “linfociti T”, chiamati anche “cellule natural killer”, che rappresentano la nostra prima linea di difesa immunitaria contro infezioni batteriche e virali.

“Tra tutti i COV, sono i monoterpeni quelli che stimolano una risposta più veloce e importante da parte del nostro sistema immunitario, spiega Meneguzzo, “e, all’interno dei monoterpeni, il più significativo è l’alfa pinene, che come dice il nome è emesso in particolare dalle conifere, ma non solo. Altre piante mediterranee ne emettono in grandi quantità, come il leccio, molto presente in Italia, che è la specie arborea che emette più monoterpeni alle nostre latitudini”.

Ma c’è di più: essendo molecole molto leggere, esse sono in grado di superare molto facilmente la barriera emato-encefalica, andando così potenzialmente ad incidere anche sulla salute mentale e non solo su quella fisica. Trovare questa connessione è stato l’obiettivo del già citato studio: una ricerca che ha coinvolto oltre 1.500 persone impegnate in pratiche di terapia forestale e che ha visto collaborare un team di ricercatori forestali, medici e statistici. Abbiamo trovato l’effetto isolato, quindi distinto da tutti gli altri, significativo e dipendente dalla dose, dell’esposizione ai monoterpeni sui sintomi di ansia. Si è trattato del primo risultato di questo genere pubblicato al mondo”, spiega il ricercatore non nascondendo una punta di orgoglio. “Contate che nella letteratura scientifica si è ormai consolidata la certezza che abbassando il livello di ansia si fa scendere automaticamente il rischio cardiovascolare: anche per questo positivo effetto a catena la portata del nostro studio è così grande”.

Ma un’altra ricerca sugli effetti dei monoterpeni, in particolare dell’alfa-pinene, condotta dal team di Meneguzzo assieme all’Istituto Pio XII di Misurina, ha portato risultati altrettanto considerevoli. Abbiamo dimostrato anche l’effetto diretto di questa sostanza sui sintomi di asma infantile e adolescenziale. In pratica, un bambino o un ragazzo asmatico, sottoposto a una specifica terapia per questa patologia, risponde in modo diverso a seconda di quanti monoterpeni ha inalato durante il periodo di cura”.

Ma oltre ai COV, gli effetti della foresta sulla salute umana sono anche direttamente connessi all’attivazione di tutti e cinque i sensi, generando benefici misurabili sui livelli di stress, sul rilassamento, sull’attenzione. I profumi del bosco, ad esempio, permettono di vivere esperienze di connessione molto forti e profonde con l’ambiente circostante. Certi odori, inoltre, stimolano anche la sfera dei nostri ricordi più intimi e personali, come hanno spiegato alcune ricerche.

 

Oltre ai COV, gli effetti della foresta sulla salute umana sono anche direttamente connessi all’attivazione di tutti e cinque i sensi.

 

“Anche il tatto è importante”, spiega Meneguzzo, “in Oriente è stato dimostrato, ad esempio, che toccare il legno genera un effetto di rilassamento psico-fisico, contrariamente a ciò che avviene toccando altri materiali come metalli e plastiche. Per non parlare della vista! A parte l’indubbio senso di bellezza che può generarsi dall’osservare gli ambienti naturali, è la ripetibilità delle forme, a varie scale, a far sì che la nostra attenzione rimanga lineare, senza sorprese e stimoli visivi improvvisi come quelli presenti in gran numero nelle città, che generano un continuo senso di allerta andando così ad incidere negativamente sul sistema nervoso”.

E poi c’è l’udito: nel bosco ci sono tanti e diversificati suoni, che sull’organismo umano hanno un effetto ancora maggiore che i profumi. “L’esposizione a suoni naturali in assenza di rumori artificiali”, sottolinea Francesco Meneguzzo, “è un’esperienza di grandissimo rilassamento psico-fisico ed è uno degli aspetti determinanti all’interno delle pratiche di terapia forestale. Al tempo stesso, però, questo è anche un grande limite: se ci pensate bene, sono davvero pochi i boschi in cui i suoni artificiali risultano completamente assenti!”

Ma la ricerca sui benefici della terapia forestale, che ha già portato risultati significativi tanto da spingere alcuni sistemi sanitari nazionali a far entrare queste pratiche nei percorsi medici, non è che agli inizi. Nuovi studi stanno indagando, ad esempio, gli effetti sul “tecnostress”, lo stress dovuto all’uso eccessivo di dispositivi digitali. Ci sono prime evidenze anche sull’utilità di queste pratiche sullo stress scolastico e lavorativo, ma anche ottime prospettive nel campo più specifico della psicologia clinica.

Occorrerà sicuramente studiare in modo approfondito le migliori metodologie terapeutiche da applicare in base ai diversi disturbi su cui si vuole incidere, ma ormai è certo: il termine “terapia”, di fianco a “forestale”, è più che giustificato.

 

Questo articolo fa parrte di una serie dedicata alla Terapia Forestale. Leggi il primo contributo "Dal Giappone alle nostre foreste: come la terapia forestale è arrivata in Italia e quali opportunità può generare" con l'intervista a Federica Zabini. 

 

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