Come rendere “più vicina alla Natura” la selvicoltura praticata?
Questa è l'introduzione al FOCUS pubblicato sul numero 269 di Sherwood | Foreste e Alberi oggi, la versione integrale è disponibile solo per gli abbonati nella versione cartacea, nella APP e sul sito, come sfogliabile. Abbonandoti non solo avrai accesso a questo e ad altri contenuti riservati ma contribuirai a sostenere tutto il lavoro della Redazione di Sherwood. Visita la sezione dedicata agli abbonamenti cliccando qui.
di Paolo Mori - Redazione di Sherwood
Nella gran parte delle foreste italiane, la gestione selvicolturale è cambiata poco dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi. Certo, vanno fatte distinzioni tra area appenninica e area alpina, dove dagli anni ’60 del secolo scorso la selvicoltura naturalistica ha avuto decisamente una maggiore diffusione, ma lo scopo di questo editoriale non è dare meriti o stabilire demeriti. Qui si vuol mettere in evidenza come in Italia, a parte alcune felici eccezioni, la selvicoltura e, più in generale, la gestione forestale abbiano bisogno di essere aggiornate al contesto che cambia. Si tratta di un tema che riteniamo particolarmente importante, tanto che ne trattiamo sin dal n. 1 di Sherwood e recentemente lo abbiamo ripreso con continuità:
- nell’Editoriale di Sherwood n. 264 dedicato a “praticare una gestione forestale più sostenibile”;
- nel Dossier sul castagno del n. 266;
- nell’Editoriale sulla selvicoltura da praticare nel concreto e nel Dossier su “Innovazione nei trattamenti selvicolturali” del n. 267
- nel Dossier sul “trattamento a fustaia irregolare” del n. 268.
Non è che in Italia manchino le basi teoriche o quelle di supporto per essere più sostenibili e vicini alla Natura. Abbiamo un’infrastruttura normativa nazionale, e in alcuni casi regionale, di alto livello rispetto al passato, che ha anticipato scelte poi adottate a scala europea. C’è una Strategia Forestale Nazionale finanziata per 11 anni. È stato istituito un Cluster Foreste Legno Italia per riconnettere produttori e trasformatori. È stato avviato il sistema di raccolta dati sulle foreste e sul settore forestale (SINFor). Si sta riorganizzando il sistema vivaistico forestale, la designazione e la gestione degli alberi e dei boschi monumentali e l’individuazione di una rete di foreste vetuste.
Questo elenco, per quanto incompleto, può dare l’idea di come si siano create le condizioni preliminari a una gestione forestale più sostenibile e capace di rispondere non solo alle richieste delle filiere del legno e a quelle di tutela della biodiversità, ma anche a quelle di tutte le nuove e numerose filiere dei servizi ecosistemici che si possono ottenere con la gestione del bosco.
Condizioni teoriche e di supporto, appunto. Favorevoli, per certi aspetti anche molto favorevoli, ma non ancora in grado di modificare, sui territori, comportamenti e procedure consolidate che ostacolano l’adozione concreta di un’operatività selvicolturale “più sostenibile”. “Più sostenibile” si collega direttamente con un’altra espressione: “più vicina alla Natura”, presente nel titolo delle “Linee guida per una gestione forestale più vicina alla Natura”, pubblicate dalla Commissione Europea nel Luglio 2023.
“Più sostenibile” e “più vicina alla Natura” esprimono entrambe sia una condizione di relatività, sia una possibilità concreta. In altre parole, non esiste una condizione di partenza migliore delle altre per essere “più sostenibili” e “più vicini alla Natura”. Quindi, tutti possiamo concretamente fare qualcosa per essere “più sostenibili” e “più vicini alla Natura”.
Da qui nasce una domanda che si sono posti il Consiglio Editoriale e la Redazione di Sherwood: cosa dovrebbe cambiare nella cultura e, conseguentemente, nell’operatività selvicolturale italiana, per attuare le Linee guida europee ed essere “più sostenibili” e “più vicini alla Natura”?
Il confronto ci ha portato a produrre il Focus di questo numero di Sherwood, in cui è possibile cogliere le indicazioni più significative delle Linee guida e riflettere sulla distanza che separa ciò che vorremmo fare da ciò che realmente siamo in grado di fare. La distanza in termini di intenzioni non è molta, anzi, sul piano dei desiderata, in Italia siamo ricchi di documenti e forse più avanti di altri Stati europei. L’ostacolo da superare riguarda invece la cultura selvicolturale e, conseguentemente, la possibilità di trasformare le intenzioni in fatti.
Da tale considerazione è nata l’idea di produrre un “Manifesto per una selvicoltura più vicina alla Natura”. Lo abbiamo strutturato focalizzando l’attenzione su 10 ambiti in cui, a nostro avviso, è necessario agire prima sul piano selvi-CULTURALE e poi, conseguentemente, su quello operativo.
Per adesso il documento ha alcuni sottoscrittori importanti, ma gli improrogabili tempi di stampa della rivista hanno impedito ad altri di deliberare per tempo l’adesione al Manifesto. Così nel corso del 2024 la sottoscrizione del Manifesto sarà nuovamente aperta a chiunque ne condivida i contenuti. Più saremo e più potremo incidere sulla realtà. Ciò che conta maggiormente, però, è trasformare il “Manifesto” da documento di buone intenzioni a riferimento per migliorare la gestione forestale e la selvicoltura. L’ideale sarebbe che su ciascuno dei 10 punti si formassero dei gruppi operativi, anche informali, tra coloro che possono modificare lo status quo verso una direzione coerente con i cambiamenti auspicati nei 10 punti del Manifesto.
È necessario fare in modo che gli intenti si trasformino in azioni e queste in un’evoluzione di norme e regolamenti, delle prassi e del comportamento di tutti gli attori; dai funzionari pubblici ai tecnici privati, dai proprietari boschivi alle imprese forestali e agli addetti al controllo, dai ricercatori ai politici, e che le azioni possano concretamente portare a una “gestione più sostenibile” attraverso una “selvicoltura più vicina alla Natura”.
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