Pillole forestali dall’Italia #28 - Competenze specifiche e altre notizie di novembre
Ciao a tutte e a tutti e benvenuti all'edizione numero 28 di “Pillole forestali dall’Italia”, l’appuntamento quindicinale che vi descrive e commenta 5 tra le principali notizie su foreste e legno in Italia selezionate dalla redazione di Sherwood, sia in forma scritta che come podcast.
Questa rubrica è sponsorizzata da FSC®Italia e PEFC Italia, che ringraziamo per aver scelto di sostenere il nostro lavoro.
Preferisci ascoltare o leggere?
Ecco la versione PODCAST (la trovi anche su tutte le piattaforme come Spreaker e Spotify):
Qui invece le notizie da LEGGERE:
L’ENNESIMA ALLUVIONE, TRA POLEMICHE STERILI E URGENTI NECESSITÀ
Come avrete sentito dai telegiornali, nella tarda serata del 2 novembre scorso la Toscana settentrionale, in particolare una ristretta fascia di territorio posta fra Livorno e l’alto Mugello, è stata interessata da un evento meteorologico particolarmente intenso. Le piogge sono risultate molto abbondanti in particolare nell’area pratese, dove è scesa, in sole 5 ore, la pioggia che mediamente cade in due mesi. L’eccezionale intensità del fenomeno ha messo in crisi il sistema regimante dell’intera Val di Bisenzio, con diffuse esondazioni che hanno provocato numerosi danni.
Dopo questo ennesimo evento estremo, connesso alla crisi climatica in atto, non sono mancate riflessioni, prese di posizione e anche polemiche.
Tra le polemiche sterili, una ormai classica ha riguardato la gestione dei boschi della zona, prevalentemente cedui. Secondo alcuni, questa forma di governo avrebbe facilitato l’alluvione. Ma come ha scritto chiaramente su Sherwood il Prof. Filippo Giadrossich, esperto dell’Università di Nuoro, in un’interessante intervista pubblicata dopo la tragica alluvione dell’Emilia-Romagna della scorsa primavera: “Contrapporre fustaie, soprassuoli transitori, cedui o ipotetiche foreste vergini non ha molto senso in questi contesti. Bisogna fare attenzione a non cadere nella trappola ceduo = dissesto. La capacità idrica nei suoli forestali è generalmente buona quale che sia la forma di gestione selvicolturale applicata, data dall'elevata porosità e capacità di drenaggio”.
Una riflessione che riteniamo invece molto interessante è arrivata dai Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Toscana, che hanno posto l’attenzione sull’importanza della prevenzione a monte. “Una massima che recitavano i nostri vecchi, e che è valida tutt’ora, diceva che la pianura si difende dal monte”, ha spiegato David Pozzi, presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Prato, “Avevano ovviamente ragione: se la pianura oggi piange danni e vittime è perché manca una manutenzione strategica della montagna, dove prevale l’abbandono. Una delle azioni più efficaci per mitigare gli impatti del riscaldamento globale sarà quella di progettare e realizzare una nuova grande opera diffusa di sistemazione idraulico-forestale del territorio, adeguata alla frequenza e alla scala di questi eventi”.
Lasciando da parte le inutili polemiche, se come società, con lungimiranza, volessimo davvero investire nuovamente nelle opere diffuse di sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, le competenze dei tecnici forestali sarebbero fondamentali. La sollecitazione che arriva dalla Toscana ci invita quindi a riflettere sull’opportunità, da parte del nostro settore, di riappropriarsi di questa competenza specifica così importante per il futuro, che troppo spesso abbiamo lasciato, in passato, ad altre professionalità.
Per approfondire:
PIOPPICOLTURA E RINATURALIZZAZIONE: UN BALLETTO DI NUMERI
Proseguiamo riprendendo un tema che ha suscitato molto dibattito nelle scorse settimane e di cui ci siamo già occupati nelle edizioni numero 25 e 26 di questa rubrica. Si tratta del progetto PNRR di rinaturalizzazione del Fiume Po e del conflitto che è esploso tra le attività previste dal progetto stesso e la pioppicoltura, molto presente lungo l’asse del Grande Fiume.
Ad avere la meglio sembrano essere stati, almeno per il momento, gli agricoltori e gli industriali del legno, dato che le attività che prevedevano l’esproprio o la revoca di concessioni delle superfici coltivate a pioppo sembrano essere state stralciate dal progetto. Su questo, lo ricordiamo, si era pronunciato anche il Masaf, suggerendo di evitare la riduzione della superficie pioppicola.
A smuovere nuovamente le acque di questo dibattito è stato il WWF, che attraverso una lettera rivolta ai Ministri Pichetto Fratin e Fitto (responsabili di MASE e PNRR) ha parlato di “allarmi senza alcun fondamento” riferendosi a quanto scritto (e anche da noi riportato) da parte di FederlegnoArredo e alcune Associazioni di categoria agricole. “Gli ettari sottoposti a revoca di concessione e/o esproprio”, scrive il WWF, “sono poco più di 200 (localizzati in diverse isole fluviali) e non certo 7.000” come era stato invece stimato da industriali e agricoltori.
Di fronte a questa enorme differenza di vedute viene facile pensare che qualcuna delle parti in causa stia evidentemente barando, o quantomeno esagerando. Più probabilmente, ci azzardiamo a immaginare, tutti stanno un po’ tirando la stima dalla propria parte, anche perché l’assenza di una cartografia ufficiale e aggiornata sulla pioppicoltura rende ogni numero forzabile, in eccesso o in difetto.
Detto questo, rimane valida la riflessione di fondo che abbiamo posto fin dall’inizio di questa vicenda e che ribadiamo: perché, invece di arrivare a questo "balletto di numeri", non è stata cercata, fin dal principio, una mediazione?
Crediamo sia possibile portare avanti la produzione pioppicola nelle aree adiacenti all’asse del Po, promuovendo al tempo stesso maggiori attenzioni agli aspetti ambientali, ovviamente sacrosante in un’area fortemente antropizzata e con grandi problemi di inquinamento come quella padana. Questi sono i momenti in cui il settore forestale dovrebbe “battere un colpo” e mostrarsi capace, più di altri, di portare una visione equilibrata, in grado di tenere assieme produzione legnosa e protezione della natura: anche questa sarebbe una nostra "competenza specifica", o meglio, una sensibilità, da far valere maggiormente.
Vi terremo aggiornati su ulteriori sviluppi.
LA RINNOVABILE TERMICA PIÙ UTILIZZATA IN ITALIA
Proseguiamo con la consueta notizia riferita ad un dato numerico, che ci permette di ragionare sul settore forestale attraverso i risultati di statistiche, studi o analisi. Si tratta in questo caso di un dato decisamente interessante, che molto raramente viene citato quando si parla di energie rinnovabili nel nostro Paese.
È quello relativo alla classifica, ricavabile dai dati del GSE (Gestore del Servizio Elettrico), delle principali fonti di energia rinnovabile utilizzate in Italia. Per quanto riguarda l’energia termica, la biomassa solida, impiegata soprattutto in ambito domestico sotto forma di legna da ardere e pellet, si conferma saldamente al primo posto, coprendo circa il 64% dei consumi termici da fonti energetiche rinnovabili, seguita a lunga distanza dall'energia trasferita da pompe di calore per riscaldamento (22%).
Il dato è emerso in una relazione di Valter Francescato, Direttore tecnico di AIEL - Associazione Italiana Energie Agroforestali, svolta analizzando l’ultimo Rapporto statistico del GSE riferito al 2021. Francescato, commentando i dati, ha sottolineato quanto questi numeri dimostrino: “il ruolo fondamentale e irrinunciabile delle bioenergie nel processo di decarbonizzazione energetica che le Istituzioni comunitarie e nazionali stanno promuovendo”.
Nel 2021, complessivamente, le fonti rinnovabili hanno coperto il 19,7% dei consumi energetici nel settore termico. Dei circa 11,2 Mtep di consumi complessivi di energia termica da fonti energetiche rinnovabili, le biomasse solide, utilizzate soprattutto in modo diretto nel settore domestico, ne hanno prodotti circa 6,8.
“Guardando agli obiettivi futuri che il nostro Paese si è dato”, ha spiegato Valter Francescato, “è utopistico pensare di raddoppiare la quota di rinnovabili termiche, portandole dal 20% attuale al 40% previsto al 2030, senza un adeguato contributo delle biomasse legnose”. AIEL, non a caso, propone di incrementare l’utilizzo dell’energia termica prodotta da biomasse, puntando a 16,5 Mtep di energia termica prodotta da bioenergia al 2030.
Questi dati devono farci riflettere, perché per molte persone potrebbero essere vissuti come un paradosso. Spesso, infatti, la produzione di energia da biomasse legnose è vista di cattivo occhio da quelle stesse categorie di cittadini che più di tutti auspicano una rapida transizione ecologica. Come sostiene AIEL, nei prossimi anni sarà determinante continuare ad utilizzare legna da ardere, pellet e cippato per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Questa necessità, se ben guidata, potrebbe rendere economicamente realizzabili dei percorsi virtuosi di gestione forestale, anche volti a trasformare i nostri boschi verso strutture più resilienti e in grado di produrre non solo assortimenti da energia, ma anche da opera.
Su questo tema specifico vi consigliamo un articolo pubblicato su Sherwood a firma di Paolo Mori e intitolato: “AIEL, la politica e la selvicoltura”. Come tanti articoli di Sherwood, ormai, si può non solo leggere, ma anche ascoltare: non dalla voce dell'autore in questo caso, ma da quella di un robot (che comunque legge molto bene!).
Per approfondire:
LA SECONDA “DOPPIA CERTIFICAZIONE” IN UN ANNO
La quarta notizia di queste Pillole è sia una bella novità che viene dal Piemonte, in particolare dalla provincia di Cuneo, sia lo specchio di un’interessante tendenza in atto.
La notizia è che l’Unione Montana dei Comuni del Monviso ha ricevuto la "doppia certificazione", secondo gli standard FSC® e PEFC, per la Gestione Forestale Sostenibile e la valorizzazione dei Servizi Ecosistemici. Ad essere stati doppiamente certificati sono gli 887 ettari di terreni forestali dei Comuni di Paesana, Sanfront, Ostana, Brondello e Pagno.
La tendenza interessante è quella della “doppia certificazione”. Prima dei Comuni del Monviso, infatti, avevamo già dato un’altra notizia simile a inizio anno, quando il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano era stata la prima area protetta europea a poter vantare la doppia certificazione FSC® e PEFC (certificazione avvenuta a fine 2022). In entrambi i casi l’ente accreditato certificatore è stato CSI, l’unico abilitato in Italia al rilascio di entrambe le certificazioni.
Proprio il Direttore della Business Unit Conformity Assessment di CSI, Paolo Fumagalli, ha rilasciato una dichiarazione a seguito della recente doppia certificazione dei comuni del Monviso: “Stiamo assistendo ad un crescente interesse verso le soluzioni di certificazione sostenibile del patrimonio forestale da parte delle Pubbliche Amministrazioni più attente a porre le basi per ambienti sani e vivibili per la cittadinanza, ma anche per attirare un turismo consapevole e sempre più in cerca di rigenerazione a contatto con la natura. Inoltre, sta crescendo la consapevolezza che una gestione forestale sostenibile può dare un contributo concreto alla lotta al cambiamento climatico”.
Anche il Presidente Nazionale di UNCEM - Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, Marco Bussone, ha commentato plaudendo all’iniziativa e cogliendo l’occasione anche per lanciare una provocazione. Secondo Bussone, infatti, questa operazione denota l’importanza delle Unioni Montane e le capacità manageriali dei propri professionisti; proprio per questo, secondo il Presidente UNCEM: “È grave che alcuni Comuni se ne vogliano andare, che abbandonino il campo, che scelgano la solitudine, senza accorgersi di quanto le Unioni Montane siano strategiche anche per accompagnare i Sindaci nel superamento dei municipalismi gravi e inutili che interessano la montagna. I campanili, anche per boschi e pianificazione forestale, sono il passato. L'unità e le sinergie, il lavoro in Unione per la montagna, è già presente e futuro”.
Per approfondire:
GESTIONE FORESTALE COLLABORATIVA
La curiosità finale di queste Pillole riguarda un breve video, che abbiamo realizzato noi di Compagnia delle Foreste, nell'ambito del Progetto NETFo, nelle meravigliose faggete del Monte Rest, in Carnia.
Si tratta di boschi dalla storia importante: su questa montagna la Repubblica di Venezia aveva selezionato 4 particelle per produrre legname di qualità per il proprio Arsenale. Boschi oggi suddivisi in 5 diverse proprietà medio-grandi: due comunali, una regionale, una del Consorzio Boschi Carnici (i vecchi boschi della Serenissima) e una privata.
Qui, come altrove, una gestione associata multiproprietario potrebbe generare filiere del legno e dei servizi ecosistemici di vario genere, valorizzare il territorio anche dal punto di vista turistico e didattico, portare quindi benefici ai proprietari e alla collettività. Oggi però domina un semi-abbandono, che genera anche notevoli problemi, come il passaggio della tempesta Vaia e di altri forti temporali che hanno provocato numerosi schianti, anche sul faggio.
Nel video, la Direttrice del Consorzio Boschi Carnici, Erika Andenna, e il Dottore Forestale Verio Solari, uno dei due tecnici incaricati di seguire le aree pilota del progetto NETFo, raccontano le opportunità che una "gestione forestale collaborativa" multiproprietario potrebbe generare sui territori alpini, ma non solo.
Il video mostra un caso studio, ma anche una nuova sensibilità, che sembra si stia finalmente facendo strada. Vi consigliamo di investire dieci minuti del vostro tempo per guardarvelo.
Ecco il video:
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